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Diana
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Visite turistiche

La necropoli di Tuvixeddu è la più grande necropoli punica ancora esistente[2]. Si estende all'interno della città di Cagliari, su tutto il colle omonimo, ed è compresa fra il rione cresciuto lungo il viale Sant'Avendrace e quello di via Is Maglias. L'area archeologica è molto vasta, originariamente essa insisteva su una superficie di circa 80 ettari che dalla laguna di Santa Gilla si estendeva fino a Via Is Maglias e da Viale Sant'Avendrace fino a viale Merello. Sull'origine del nome si possono ipotizzare due significati derivanti entrambi dal sardo campidanese tuvu che significa sia "calcare marnoso"[3] ma anche buco, cavità. Il primo potrebbe indicare dunque la natura geologica del colle, Tuvixeddu "colle di tufo piccolo", e Tuvumannu - il colle orograficamente adiacente e più grande -"colle di tufo grande". Il secondo significato potrebbe essere messo in relazione al paesaggio antropico indotto dall’attività di cava che avrebbe creato uno scoscendimento maggiore ad oriente e una cavità minore a ponente. Dunque "piccola cavità" (Tuvixeddu) e "grande cavità" (Tuvumannu). Più difficoltoso ipotizzare per Tuvixeddu, anche se riportato, un riferimento alle piccole cavità dei pozzi d’accesso alle tombe a camera cartaginesi, poiché il toponimo è registrato sempre al singolare e mai al plurale
44 Recomendado por los habitantes de la zona
Necrópolis de Tuvixeddu
Via Falzarego
44 Recomendado por los habitantes de la zona
La necropoli di Tuvixeddu è la più grande necropoli punica ancora esistente[2]. Si estende all'interno della città di Cagliari, su tutto il colle omonimo, ed è compresa fra il rione cresciuto lungo il viale Sant'Avendrace e quello di via Is Maglias. L'area archeologica è molto vasta, originariamente essa insisteva su una superficie di circa 80 ettari che dalla laguna di Santa Gilla si estendeva fino a Via Is Maglias e da Viale Sant'Avendrace fino a viale Merello. Sull'origine del nome si possono ipotizzare due significati derivanti entrambi dal sardo campidanese tuvu che significa sia "calcare marnoso"[3] ma anche buco, cavità. Il primo potrebbe indicare dunque la natura geologica del colle, Tuvixeddu "colle di tufo piccolo", e Tuvumannu - il colle orograficamente adiacente e più grande -"colle di tufo grande". Il secondo significato potrebbe essere messo in relazione al paesaggio antropico indotto dall’attività di cava che avrebbe creato uno scoscendimento maggiore ad oriente e una cavità minore a ponente. Dunque "piccola cavità" (Tuvixeddu) e "grande cavità" (Tuvumannu). Più difficoltoso ipotizzare per Tuvixeddu, anche se riportato, un riferimento alle piccole cavità dei pozzi d’accesso alle tombe a camera cartaginesi, poiché il toponimo è registrato sempre al singolare e mai al plurale
L’Orto Botanico di Cagliari, la cui superficie è di circa 5 ha, occupa la porzione inferiore della Valle di Palabanda, il cui fondo si allarga dalla porzione più elevata, maggiormente acclive e accidentata, che ospita le Roccaglie della Biodiversità, sino all’ingresso situato nella parte più bassa, presso il quale si trova il settore delle Gymnospermae. Il giardino sorge su un’area archeologica compresa tra l’Anfiteatro Romano, l’Orto dei Cappuccini (nel quale vi è una cava utilizzata per la costruzione dell’Anfiteatro, in seguito utilizzata come carcere e infine come cisterna) e la cosiddetta Villa di Tigellio, un’area archeologica che presenta i resti di alcune domus romane e di un coevo edificio termale. L’Orto ospita tre cisterne a bottiglia di epoca romana in buono stato di conservazione, di cui una visitabile, alcune vasche di probabile origine romana e un pozzo quasi certamente più recente. Il giardino confina con l’Anfiteatro Romano lungo il lato di nord-est nella parte alta della valle, con il Dipartimento universitario di Economia e Commercio a nord, con il Viale S. Ignazio da Laconi lungo i lati nord e ovest e con l’Ospedale Civile lungo il lato est e sud-est. L’area, di forma allungata approssimabile a un trapezio scaleno, ha una lunghezza di circa 300 m x 150 m di larghezza. La pianta dell’Orto ricalca prevalentemente quella originale dell’Architetto Gaetano Cima, che si conosce grazie a un disegno del primo capo giardiniere Giovanni Battista Canepa. Le tracce del progetto originale sono maggiormente evidenti nel fondo della valle, dove è iniziata la realizzazione del giardino, caratterizzato per una serie di aiuole geometriche (scuola botanica) disposte in modo simmetrico rispetto a un viale centrale rettilineo. Questo si sviluppa dall’ingresso sino alla fontana del piazzale centrale e da questo prosegue sino a una vasca occupata da un maestoso esemplare di Taxodium distichum cui fanno seguito la Fontana Pampanini e il pozzo. Dopo il piazzale centrale sul versante posto a sinistra del viale è possibile osservare il settore delle specie succulente, mentre a destra vi sono il “bosco mediterraneo” e “l’Orto dei Semplici. Dal fondovalle presso l’Orto dei Semplici si può raggiungere la parte più alta in quota del giardino, dove si trovano gli edifici della Sezione Botanica del Dipartimento di Scienze della vita e dell’Ambiente, tramite una scalinata che ha sostituito negli anni ’80 del XX secolo la doppia rampa originale. Oltre alle principali collezioni di seguito citate, nell’Orto vi sono numerosi esemplari arborei notevoli. Questi sono i più vetusti del giardino perché piantati durante la sua fase costitutiva, quando lo scopo era quello di creare uno stabilimento per l’acclimatazione di specie esotiche, soprattutto tropicali, al fine di stimolare lo sviluppo dell’attività vivaistica e con l’intento di ricreare un arboreto tropicale. In particolare, oltre al Taxodium distichum, si segnalano esemplari notevoli di Phytolacca dioica, Dracaena draco, Ficus macrophylla subsp. columnaris, Brachychiton acerifolius, Maclura pomifera, Tipuana tipu, Washingtonia robusta, Ceratonia siliqua e, soprattutto, un maestoso esemplare di Euphorbia canariensisosservabile presso il muro di confine con l’Anfiteatro. Nell’Orto sono presenti alcune serre dedicate alle collezioni, delle quali due per le specie succulente (Serra Martinoli e Serra Syrbe) e una recente serra tropicale. Meritano di essere ricordate anche la Grotta Gennari, la Vasca a trifoglio, la Cava romana e il Centro Conservazione Biodiversità (CCB) posti sul lato sinistro dell’Orto; la Passeggiata sopraelevata, la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) ed il Museo Botanico (MBK) sul lato destro.
94 Recomendado por los habitantes de la zona
Orto Botanico
11 Via Sant'Ignazio da Laconi
94 Recomendado por los habitantes de la zona
L’Orto Botanico di Cagliari, la cui superficie è di circa 5 ha, occupa la porzione inferiore della Valle di Palabanda, il cui fondo si allarga dalla porzione più elevata, maggiormente acclive e accidentata, che ospita le Roccaglie della Biodiversità, sino all’ingresso situato nella parte più bassa, presso il quale si trova il settore delle Gymnospermae. Il giardino sorge su un’area archeologica compresa tra l’Anfiteatro Romano, l’Orto dei Cappuccini (nel quale vi è una cava utilizzata per la costruzione dell’Anfiteatro, in seguito utilizzata come carcere e infine come cisterna) e la cosiddetta Villa di Tigellio, un’area archeologica che presenta i resti di alcune domus romane e di un coevo edificio termale. L’Orto ospita tre cisterne a bottiglia di epoca romana in buono stato di conservazione, di cui una visitabile, alcune vasche di probabile origine romana e un pozzo quasi certamente più recente. Il giardino confina con l’Anfiteatro Romano lungo il lato di nord-est nella parte alta della valle, con il Dipartimento universitario di Economia e Commercio a nord, con il Viale S. Ignazio da Laconi lungo i lati nord e ovest e con l’Ospedale Civile lungo il lato est e sud-est. L’area, di forma allungata approssimabile a un trapezio scaleno, ha una lunghezza di circa 300 m x 150 m di larghezza. La pianta dell’Orto ricalca prevalentemente quella originale dell’Architetto Gaetano Cima, che si conosce grazie a un disegno del primo capo giardiniere Giovanni Battista Canepa. Le tracce del progetto originale sono maggiormente evidenti nel fondo della valle, dove è iniziata la realizzazione del giardino, caratterizzato per una serie di aiuole geometriche (scuola botanica) disposte in modo simmetrico rispetto a un viale centrale rettilineo. Questo si sviluppa dall’ingresso sino alla fontana del piazzale centrale e da questo prosegue sino a una vasca occupata da un maestoso esemplare di Taxodium distichum cui fanno seguito la Fontana Pampanini e il pozzo. Dopo il piazzale centrale sul versante posto a sinistra del viale è possibile osservare il settore delle specie succulente, mentre a destra vi sono il “bosco mediterraneo” e “l’Orto dei Semplici. Dal fondovalle presso l’Orto dei Semplici si può raggiungere la parte più alta in quota del giardino, dove si trovano gli edifici della Sezione Botanica del Dipartimento di Scienze della vita e dell’Ambiente, tramite una scalinata che ha sostituito negli anni ’80 del XX secolo la doppia rampa originale. Oltre alle principali collezioni di seguito citate, nell’Orto vi sono numerosi esemplari arborei notevoli. Questi sono i più vetusti del giardino perché piantati durante la sua fase costitutiva, quando lo scopo era quello di creare uno stabilimento per l’acclimatazione di specie esotiche, soprattutto tropicali, al fine di stimolare lo sviluppo dell’attività vivaistica e con l’intento di ricreare un arboreto tropicale. In particolare, oltre al Taxodium distichum, si segnalano esemplari notevoli di Phytolacca dioica, Dracaena draco, Ficus macrophylla subsp. columnaris, Brachychiton acerifolius, Maclura pomifera, Tipuana tipu, Washingtonia robusta, Ceratonia siliqua e, soprattutto, un maestoso esemplare di Euphorbia canariensisosservabile presso il muro di confine con l’Anfiteatro. Nell’Orto sono presenti alcune serre dedicate alle collezioni, delle quali due per le specie succulente (Serra Martinoli e Serra Syrbe) e una recente serra tropicale. Meritano di essere ricordate anche la Grotta Gennari, la Vasca a trifoglio, la Cava romana e il Centro Conservazione Biodiversità (CCB) posti sul lato sinistro dell’Orto; la Passeggiata sopraelevata, la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) ed il Museo Botanico (MBK) sul lato destro.
Al centro del capoluogo isolano, tra Castello e Stampace, sorge il più importante e maestoso edifico pubblico della Sardegna romana, un capolavoro architettonico da diecimila spettatori, centro culturale e sociale dell’antica Carales  Citato in lettere e studi dell’Ottocento, l’Anfiteatro romano di Cagliari fu riscoperto nel Romanticismo, epoca di passione per le rovine di grandi civiltà. Ai primi scavi, affidati al canonico Giovanni Spano (1866-68), seguirono quelli condotti dall’archeologo Doro Levi (1937-38) abbinati al restauro del maestoso edificio. Durante la prima età imperiale, a Carales sorsero quartieri, edifici pubblici e, tra fine I e inizio II secolo d.C., l’anfiteatro, costruito sulle pendici meridionali del colle di Buoncammino. In origine occupava più di mille metri quadri, aveva un perimetro di 120 metri e una facciata alta venti metri, abbellita da colonne e statue. Parte delle gradinate (cavea), l’arena, i corridoi e altri ambienti furono scavati nella roccia viva, il resto realizzato con blocchi di calcare bianco. Oggi puoi ammirare parte della cavea e, sotto, le stanze per gladiatori, le celle per gli animali e l’infermeria. Erano i tempi dei ludi. Le gradinate, di tre ordini, accoglievano diecimila spettatori di tutte le classi sociali, che assistevano, al mattino, a lotte tra uomini e belve importate dall’Africa, a pranzo, a esecuzioni capitali e, di sera, dopo i banchetti, allo spettacolo più atteso: lotte tra gladiatori reclutati non solo nell’Isola e duramente allenati in un luogo dove oggi c’è l’Orto dei Cappuccini. Immagina gli spalti pieni e illustri decuriones che si accomodovano sul podium lastricato di marmo, riparati dal sole dal velarium. L’anfiteatro serviva anche per il recupero di acque piovane: la forma a imbuto della cavea permetteva che defluissero in un pozzetto. Con l’avvento del Cristianesimo, le lotte gladiatorie divennero sempre più impopolari, sinché furono proibite per legge (438 d.C.). Da allora l’edificio divenne cava d’estrazione. La spoliazione terminò soltanto nel XIX secolo. Oggi è in parte coperto da una struttura in ferro e legno che ha ospitato, tra 2000 e 2011, spettacoli e concerti. Poi la lunga e difficile rimozione per riportarlo a sito archeologico. Nel tour della Cagliari romana, oltre all’anfiteatro troverai anche edifici privati come la villa di Tigellio. E, nei dintorni, non perdere i giardini dell’Orto Botanico, oasi verde nel cuore della città, che conserva altre testimonianze di epoca romana e la Cittadella dei Musei, il complesso museale più grande e completo della Sardegna
85 Recomendado por los habitantes de la zona
Anfiteatro romano de Cagliari
Via Sant'Ignazio da Laconi
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Al centro del capoluogo isolano, tra Castello e Stampace, sorge il più importante e maestoso edifico pubblico della Sardegna romana, un capolavoro architettonico da diecimila spettatori, centro culturale e sociale dell’antica Carales  Citato in lettere e studi dell’Ottocento, l’Anfiteatro romano di Cagliari fu riscoperto nel Romanticismo, epoca di passione per le rovine di grandi civiltà. Ai primi scavi, affidati al canonico Giovanni Spano (1866-68), seguirono quelli condotti dall’archeologo Doro Levi (1937-38) abbinati al restauro del maestoso edificio. Durante la prima età imperiale, a Carales sorsero quartieri, edifici pubblici e, tra fine I e inizio II secolo d.C., l’anfiteatro, costruito sulle pendici meridionali del colle di Buoncammino. In origine occupava più di mille metri quadri, aveva un perimetro di 120 metri e una facciata alta venti metri, abbellita da colonne e statue. Parte delle gradinate (cavea), l’arena, i corridoi e altri ambienti furono scavati nella roccia viva, il resto realizzato con blocchi di calcare bianco. Oggi puoi ammirare parte della cavea e, sotto, le stanze per gladiatori, le celle per gli animali e l’infermeria. Erano i tempi dei ludi. Le gradinate, di tre ordini, accoglievano diecimila spettatori di tutte le classi sociali, che assistevano, al mattino, a lotte tra uomini e belve importate dall’Africa, a pranzo, a esecuzioni capitali e, di sera, dopo i banchetti, allo spettacolo più atteso: lotte tra gladiatori reclutati non solo nell’Isola e duramente allenati in un luogo dove oggi c’è l’Orto dei Cappuccini. Immagina gli spalti pieni e illustri decuriones che si accomodovano sul podium lastricato di marmo, riparati dal sole dal velarium. L’anfiteatro serviva anche per il recupero di acque piovane: la forma a imbuto della cavea permetteva che defluissero in un pozzetto. Con l’avvento del Cristianesimo, le lotte gladiatorie divennero sempre più impopolari, sinché furono proibite per legge (438 d.C.). Da allora l’edificio divenne cava d’estrazione. La spoliazione terminò soltanto nel XIX secolo. Oggi è in parte coperto da una struttura in ferro e legno che ha ospitato, tra 2000 e 2011, spettacoli e concerti. Poi la lunga e difficile rimozione per riportarlo a sito archeologico. Nel tour della Cagliari romana, oltre all’anfiteatro troverai anche edifici privati come la villa di Tigellio. E, nei dintorni, non perdere i giardini dell’Orto Botanico, oasi verde nel cuore della città, che conserva altre testimonianze di epoca romana e la Cittadella dei Musei, il complesso museale più grande e completo della Sardegna
Il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, il cui allestimento è stato curato dagli archeologi Carlo Tronchetti e Luisanna Usai, si articola su quattro piani: il primo è dedicato ad una presentazione didattico-didascalica della successione delle culture antiche in Sardegna, partendo dal Neolitico. Si inizia quindi con i reperti che rappresentano le culture preistoriche più importanti della Sardegna: Bonu Ighinu (4000-3500 a.C. circa) con i reperti provenienti da Cuccuru is Arrius, Ozieri con le sue tipiche ceramiche decorate e lucidate a stecca, Abealzu, Filigosa e Vaso Campaniforme o Monte Claro. Segue quindi la civiltà nuragica, rappresentata da innumerevoli reperti fra i quali spicca la collezione di bronzetti, che raccoglie esemplari provenienti da tutta l'isola, tra i quali di grande pregio quelli che rappresentano i capi tribù, di solito di maggiori dimensioni e con i tipici attributi del potere. Seguono le civiltà fenicia, punica e romana, tutte e tre decisive nella storia della Sardegna; tra i reperti più rappresentativi figurano le tipiche ceramiche e oggetti di altissimo artigianato, come la famosa collana fenicia in faience (pasta vitrea) composta da grosse perle delle quali quelle centrali hanno la forma di teste barbute. Il piano terra si conclude con una raccolta di monete puniche e romane e una vetrina didattica per i non vedenti. Gli altri tre piani sono dedicati all'illustrazione dei diversi settori territoriali, con l'esposizione dei materiali rinvenuti nelle diverse località seguendo un criterio topografico, con vetrine dedicate a siti archeologici specifici. Tra essi sono particolarmente importanti gli spazi dedicati al complesso nuragico Su Nuraxi di Barumini, al Santuario di Antas, dove l'antica religione dei sardi si fuse con quella punica prima e romana poi, e alle città fenicie di Sulci e Monte Sirai, dove fu rinvenuta la famosa e rara statua rappresentante la dea Astarte.
183 Recomendado por los habitantes de la zona
Museo Archeologico Nazionale di Cagliari
1 Piazza Arsenale
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Il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, il cui allestimento è stato curato dagli archeologi Carlo Tronchetti e Luisanna Usai, si articola su quattro piani: il primo è dedicato ad una presentazione didattico-didascalica della successione delle culture antiche in Sardegna, partendo dal Neolitico. Si inizia quindi con i reperti che rappresentano le culture preistoriche più importanti della Sardegna: Bonu Ighinu (4000-3500 a.C. circa) con i reperti provenienti da Cuccuru is Arrius, Ozieri con le sue tipiche ceramiche decorate e lucidate a stecca, Abealzu, Filigosa e Vaso Campaniforme o Monte Claro. Segue quindi la civiltà nuragica, rappresentata da innumerevoli reperti fra i quali spicca la collezione di bronzetti, che raccoglie esemplari provenienti da tutta l'isola, tra i quali di grande pregio quelli che rappresentano i capi tribù, di solito di maggiori dimensioni e con i tipici attributi del potere. Seguono le civiltà fenicia, punica e romana, tutte e tre decisive nella storia della Sardegna; tra i reperti più rappresentativi figurano le tipiche ceramiche e oggetti di altissimo artigianato, come la famosa collana fenicia in faience (pasta vitrea) composta da grosse perle delle quali quelle centrali hanno la forma di teste barbute. Il piano terra si conclude con una raccolta di monete puniche e romane e una vetrina didattica per i non vedenti. Gli altri tre piani sono dedicati all'illustrazione dei diversi settori territoriali, con l'esposizione dei materiali rinvenuti nelle diverse località seguendo un criterio topografico, con vetrine dedicate a siti archeologici specifici. Tra essi sono particolarmente importanti gli spazi dedicati al complesso nuragico Su Nuraxi di Barumini, al Santuario di Antas, dove l'antica religione dei sardi si fuse con quella punica prima e romana poi, e alle città fenicie di Sulci e Monte Sirai, dove fu rinvenuta la famosa e rara statua rappresentante la dea Astarte.
Se ti trovi in Sardegna non puoi perderti una visita al Giardino Sonoro di Pinuccio Sciola a San Sperate, un vero e proprio Museo a cielo aperto ti incanterà Il Giardino Sonoro dello scultore Pinuccio Sciola è un vero e proprio Museo a cielo aperto e si trova a San Sperate, il paese d'origine dello scultore venuto a mancare il 13 maggio del 2016. Il Maestro Sciola ha creato qualcosa di unico: le famose Pietre Sonore. È stato in grado di lavorare la pietra sino a farla "suonare". Accarezzando le pietre con altre pietre o con le mani, esse sono in grado di produrre musica. Incredibile vero? Una vera e propria rivoluzione della materia! Il Paese Museo di San Sperate si trova a soli 20 minuti d'auto da Cagliari ed è facilmente raggiungibile col trasporto urbano erogato dall'ARST, l'azienda dei trasporti sardi. Merita senz'altro una visita se vi trovate in viaggio in Sardegna. Oltre al Giardino Sonoro, poi, tutto il paese dei dipinti murali merita una visita che vi lascerà incantati. Il Giardino appare come un luogo magico, pur nella sua semplicità e informalità, così come era lo stesso Pinuccio Sciola che spesso accoglieva i suoi ospiti scalzo quasi a voler ricalcare quel legame profondo con le viscere della terra. È un luogo intriso di energia, di magia e di vibrazioni. Il tempo e lo spazio sembrano fermarsi. Tra il profumo dell'erba e degli agrumi si ergono maestose le sculture scolpite su grossi blocchi di pietra lavorata, adagiate sulla terra friabile ma compatta. Sono fiere e imponenti. Di fatto si presentano come dei corpi inolrganici fissi e immobili, ma osservandole più da vicino, accarezzandole e abbracciandole, sembrerà di aver a che fare con delle creature animate fluttuanti, capaci di emanare odori ma soprattutto suoni che ti avvolgono e ti stregano. Nasce così un legame emozionale, intimo ed emotivamente confidenziale, tra le pietre e lo spettatore reso ancora più coinvolgente dai racconti delle guide e soprattutto di Maria, figlia dello scultore che con passione e amore porta avanti il grande e ambizioso progetto paterno. La visita e il racconto si concludono con l'esperienza in prima persona: nel rispetto e nei limiti del concesso, si possono accarezzare le pietre sonore, sfiorarle delicatamente, sentirne le vibrazioni, i suoni, le armonie, persino i profumi.
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Jardín Sonoro - Pinuccio Sciola
Via Oriana Fallaci
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Sui 2700 ettari dello stagno di Santa Gilla si estendono le saline più longeve della Sardegna: da quasi 90 anni, uomo e natura lavorano qui in perfetta sinergia grazie alla lungimirante impresa dell’Ing. Conti Vecchi che, alla fine degli anni ’20, realizzò un ambizioso progetto per bonificare lo stagno impiantandovi una colossale salina e contribuendo così allo sviluppo economico e sociale di questa zona depressa ai margini della città. Ne nacque una realtà industriale florida, virtuosa e all’avanguardia: un impianto produttivo eco-sostenibile e autosufficiente intorno al quale orbitava una ‘comunità del sale’ dotata di case, scuole e strutture ricreative per le famiglie di proprietari, dirigenti e operai che convivevano nel villaggio di Macchiareddu.   Dopo la guerra, negli anni ’70 il complesso passò alla SIR Rumianca e nel 1984, a seguito della crisi energetica e industriale, venne assegnato ex lege a Eni che, nel tempo, ha avviato un progetto di riqualificazione industriale e di bonifica attraverso Syndial - società che fornisce servizi integrati nel campo del risanamento ambientale - e che nel 2017 ha affidato al FAI la valorizzazione di questo patrimonio culturale e paesaggistico. Una vicenda divenuta oggi un racconto in cui immergersi percorrendo gli ambienti storici di Direzione, Uffici e Laboratorio chimico, ripristinati nell’aspetto originale, così com’erano negli anni ‘30. Un salto nel tempo che si accompagna a grandi ed evocative videoproiezioni nell’Officina e nell’ex-Falegnameria, dedicate alla storia e al funzionamento delle Saline e al loro paesaggio dove, infine, ci si addentra a bordo di un apposito convoglio lungo un itinerario che si snoda tra vasche salanti e candide montagne di sale, immersi in un inconsueto e memorabile scenario popolato da centinaia di fenicotteri rosa.
29 Recomendado por los habitantes de la zona
FAI - Saline Conti Vecchi
Saline Conti Vecchi
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Sui 2700 ettari dello stagno di Santa Gilla si estendono le saline più longeve della Sardegna: da quasi 90 anni, uomo e natura lavorano qui in perfetta sinergia grazie alla lungimirante impresa dell’Ing. Conti Vecchi che, alla fine degli anni ’20, realizzò un ambizioso progetto per bonificare lo stagno impiantandovi una colossale salina e contribuendo così allo sviluppo economico e sociale di questa zona depressa ai margini della città. Ne nacque una realtà industriale florida, virtuosa e all’avanguardia: un impianto produttivo eco-sostenibile e autosufficiente intorno al quale orbitava una ‘comunità del sale’ dotata di case, scuole e strutture ricreative per le famiglie di proprietari, dirigenti e operai che convivevano nel villaggio di Macchiareddu.   Dopo la guerra, negli anni ’70 il complesso passò alla SIR Rumianca e nel 1984, a seguito della crisi energetica e industriale, venne assegnato ex lege a Eni che, nel tempo, ha avviato un progetto di riqualificazione industriale e di bonifica attraverso Syndial - società che fornisce servizi integrati nel campo del risanamento ambientale - e che nel 2017 ha affidato al FAI la valorizzazione di questo patrimonio culturale e paesaggistico. Una vicenda divenuta oggi un racconto in cui immergersi percorrendo gli ambienti storici di Direzione, Uffici e Laboratorio chimico, ripristinati nell’aspetto originale, così com’erano negli anni ‘30. Un salto nel tempo che si accompagna a grandi ed evocative videoproiezioni nell’Officina e nell’ex-Falegnameria, dedicate alla storia e al funzionamento delle Saline e al loro paesaggio dove, infine, ci si addentra a bordo di un apposito convoglio lungo un itinerario che si snoda tra vasche salanti e candide montagne di sale, immersi in un inconsueto e memorabile scenario popolato da centinaia di fenicotteri rosa.